Quando il comportamento extra-lavorativo giustifica il licenziamento: limiti, criteri e rischi per l’impresa
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Può un dipendente essere licenziato per un reato commesso fuori dall’orario di lavoro?
È una domanda che molte aziende si pongono, specie in un’epoca in cui i comportamenti individuali possono avere riflessi immediati sulla reputazione e sull’operatività dell’impresa.
Il principio generale: la sfera privata non è sempre “intoccabile”
Il diritto del lavoro tutela fortemente la sfera privata del lavoratore. Tuttavia, esistono casi in cui fatti extra-lavorativi possono incidere in modo diretto sul rapporto di lavoro, fino a giustificarne la cessazione per giusta causa.
La giurisprudenza, ormai da anni, ha chiarito che ciò è possibile quando il comportamento del dipendente, pur avvenuto al di fuori del contesto lavorativo, incrina in modo irreparabile il vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
La giusta causa “esterna” è possibile, ma va valutata con rigore
Secondo la Cassazione, il licenziamento per giusta causa può essere fondato anche su fatti avvenuti fuori dal contesto lavorativo, ma solo al verificarsi di determinati presupposti. I principali criteri per valutare la legittimità del recesso sono:
1. Gravità del fatto extra-lavorativo
La natura del reato è il primo elemento discriminante. Condanne per reati contro il patrimonio (furto, truffa, appropriazione indebita), contro la persona (violenza, stalking) o per spaccio di stupefacenti, possono essere considerate gravi al punto da compromettere l’affidabilità del dipendente.
2. Tipo di mansione svolta
Un aspetto essenziale è la funzione ricoperta dal lavoratore. Se il ruolo prevede:
elevato grado di autonomia o rappresentanza dell’azienda (es. dirigenti, agenti),
contatto con il pubblico,
maneggio di denaro o beni aziendali,
…allora anche un fatto commesso nella vita privata può minare irrimediabilmente il rapporto fiduciario.
3. Nesso tra fatto e attività lavorativa
La valutazione deve tener conto del collegamento logico tra la condotta e le funzioni aziendali. Un esempio chiaro: un autista aziendale condannato per guida in stato di ebbrezza o un addetto alla sicurezza coinvolto in risse o minacce.
Non è necessario che il reato sia stato commesso “sul lavoro” per costituire giusta causa.
4. Impatto sull’immagine dell’azienda
In alcuni settori (es. sanità, educazione, pubblica amministrazione, comunicazione), l’immagine del dipendente può riflettersi sull’ente datore di lavoro. Un comportamento scandaloso o immorale, anche fuori dal contesto professionale, può danneggiare la reputazione dell’impresa, giustificando il licenziamento.
5. Stato del procedimento penale
Il licenziamento può avvenire anche prima di una condanna definitiva, purché l’azienda sia in possesso di elementi certi e documentabili (es. arresto, provvedimento cautelare, confessione, ammissione). In questi casi, l’impresa assume il rischio della decisione, che potrà essere successivamente giudicata in tribunale.
E se il lavoratore è in carcere? Occhio al motivo del recesso
Un altro caso discusso è il licenziamento del dipendente detenuto, impossibilitato a presentarsi al lavoro. Qui la giurisprudenza distingue:
Non è giusta causa: la detenzione non rappresenta di per sé un inadempimento volontario del lavoratore;
È giustificato motivo oggettivo: se l’assenza è prolungata e rende impossibile l’erogazione della prestazione, l’azienda può recedere legittimamente.
Il ruolo della prudenza e della documentazione
Chi decide un licenziamento per fatti extra-lavorativi deve valutare con estrema cautela tutti i fattori sopra elencati e documentare in modo preciso la motivazione. È consigliabile:
avviare un procedimento disciplinare completo;
acquisire eventuali sentenze, comunicazioni della Procura o atti ufficiali;
evitare licenziamenti “di pancia” basati solo su notizie di stampa;
prevedere policy interne su etica e condotta anche extra-lavorativa (codici comportamentali, social media policy, etc.).
Conclusioni: l’equilibrio tra libertà personale e tutela aziendale
Il principio che guida l’interprete è il bilanciamento tra:
il diritto del lavoratore a mantenere una sfera personale inviolabile, e
il diritto del datore di lavoro a tutelare la propria organizzazione, la fiducia e l’immagine aziendale.
Il licenziamento per giusta causa a seguito di fatti esterni è legittimo solo quando questi impattano in modo diretto e concreto sulla professionalità o sull’idoneità del lavoratore.
È un campo in cui è fondamentale agire con consapevolezza, supportati da consulenza legale e da un’attenta valutazione del contesto.
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Fonti: Cassazione, giurisprudenza di merito, contributi pubblicati su La Repubblica (T. Feriani, 2025).




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